Chi entra in un supermercato e acquista biscotti integrali in offerta si affida spesso al prezzo e all’immagine di alimento sano. Le confezioni mostrano diciture che richiamano fibra, benessere e naturalezza, e lo sappiamo, quel messaggio colpisce subito. La questione, però, riguarda un elemento meno evidente: le porzioni indicate in etichetta. Molti prodotti riportano valori nutrizionali calcolati su quantità minime, 2 o 3 biscotti, pari a circa 20-30 grammi. Una scelta legale, certo, ma che — come rilevato da documenti EFSA e segnalazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato — può offrire una percezione falsata dei nutrienti assunti. Chi mangia biscotti tende a consumarne di più per volta, spesso senza accorgersene, specie quando il formato è grande e venduto a prezzo ribassato. Le promozioni, non a caso, stimolano acquisti più abbondanti e un consumo più frequente, portando a un’assunzione calorica superiore a quella percepita.
Cosa dicono numeri, studi e normativa: il consumo reale non coincide con quello “ufficiale”
I dati ufficiali aiutano a capire la distanza tra porzione suggerita e consumo effettivo. Studi dell’INRAN e ricerche successive, come quelle del CREA sulle abitudini alimentari italiane, indicano che la media reale oscilla tra 6 e 8 biscotti per volta. Tradotto: una quantità anche tre volte superiore rispetto ai valori stampati sui pacchi. Non è dettaglio marginale, perché la composizione nutrizionale incide. In base alle analisi riportate nel database CREA 2018 e alle etichette di marchi molto diffusi nel nostro Paese, un singolo biscotto integrale contiene mediamente 35-50 calorie, 2-4 grammi di zuccheri e 1-2 grammi di grassi saturi. Moltiplicando per una porzione reale, cioè 7 biscotti, si arriva facilmente oltre 300 calorie, circa 28 grammi di zuccheri e 14 grammi di grassi saturi. Confrontandoli con le linee guida nutrizionali quotidiane, il quadro cambia radicalmente rispetto all’idea iniziale di “merenda leggera”.

L’effetto psicologico è noto: uno studio pubblicato sulla rivista Appetite evidenzia come l’etichetta “integrale” porti molti consumatori a sottostimare le calorie. Il marketing ben costruito sfrutta questa dinamica. Il Regolamento UE 1169/2011, che disciplina l’etichettatura alimentare in Europa, obbliga a riportare i valori per 100 grammi, ma consente anche la dichiarazione per porzione. E qui nasce la questione: molte aziende scelgono porzioni molto piccole, formalmente corrette, ma lontane dal comportamento reale. Le istituzioni invitano a prestare attenzione: secondo l’Istituto Superiore di Sanità, leggere i valori per 100 grammi rappresenta il metodo più affidabile per valutare un prodotto. Chi controlla la lista ingredienti scopre un altro elemento chiave. Nei biscotti integrali di qualità, la farina integrale deve comparire come primo ingrediente. Se zuccheri, sciroppi o oli vegetali compaiono subito in alto, il claim “integrale” rischia di diventare più estetico che sostanziale. Già molti consumatori, pesando la porzione realmente consumata come suggerito nei materiali ISS, restano colpiti dalla differenza tra “porzione consigliata” e “porzione abituale”.
Un fenomeno che travolge l’intero settore snack e impone scelte più critiche
La strategia delle micro-porzioni non riguarda solo i biscotti. Indagini di Altroconsumo hanno documentato lo stesso meccanismo in cereali, cracker, snack confezionati e prodotti considerati “light”. Confezioni accattivanti, colori naturali, parole come “benessere” e “fibre” guidano le scelte. Poi la tabella nutrizionale, con valori in apparenza miti, completa l’effetto. Le promozioni amplificano il comportamento: pacchi grandi, sconti rilevanti, e il consumatore che si sente “autorizzato” a concedersi una porzione maggiore. La soluzione suggerita dai nutrizionisti rimane sempre la stessa: guardare la colonna dei valori per 100 grammi, non quella per porzione. Leggere la lista ingredienti, verificare l’ordine degli alimenti riportati, riconoscere zuccheri e grassi nascosti. Un’altra strategia utile — citata dalle Linee guida ISS — è tenere un piccolo diario alimentare per alcuni giorni, così da confrontare ciò che si pensa di consumare con ciò che si consuma davvero. È un esercizio semplice, un po’ noioso forse, ma che spesso rivela abitudini che non avevamo messo bene a fuoco.
Arrivati davanti allo scaffale al supermercato, conviene domandarsi: sto scegliendo perché è in offerta o perché risponde alla mia necessità nutrizionale? Il reparto dedicato ai prodotti integrali cresce da anni, segno di una sensibilità alimentare più attenta. Eppure, in mezzo a confezioni simili, è facile perdere l’orientamento. Il controllo delle etichette resta l’unico strumento certo. Le micro-porzioni possono essere legittime, ma non devono trasformarsi in un alibi. Una scelta consapevole, in fondo, parte sempre da un gesto semplice: leggere, confrontare, capire. Il mercato alimentare si evolve, le strategie commerciali pure. Il consumatore informato, però, resta la variabile decisiva.
